MARVELIT
PRESENT:
Uomo
Ragno
#62
Emil Sisko mandò un lungo fischio d’approvazione all’indirizzo di
Trisha Tanaka, la modella le cui forme pescate in un sito internet lo stavano
deliziando da circa un quarto d’ora.
“Ci crederesti che fino a cinque mesi fa lavorava
alla CBS come giornalista? Non era un gran che come inviata
ma devo dire che in questa nuova veste non è niente male. Niente male
davvero.” Disse con aria sognante mentre tormentava il
suo mento con l’indice, come a voler piallare un lembo di barba sfuggito alla
rasatura mattutina.
“Credevo mi tenessi più da conto, Emil. Parlare con te delle volte
è frustrante.” Ribatté Peter Parker guardandolo
risentito per l’apparente indifferenza dell’altro.
“Peter, “ fece Emil, con tono di chi, pazientemente,
rispiega per l’ennesima volta un’elementare verità ad un bambino che si impunta
con capricciosa cocciutaggine su qualcosa,” ti
prego, non fraintendermi, sono felice per te. Non capita certo a tutti di
essere contattato dai Fantastici Cinque, cavoli! Quelli quando camminano
levitano mezzo metro da terra tanto sono al di sopra della media. Sei un
grande. Per me lo sei sempre stato e se c’è una cosa che mi meraviglia è che in
questo dipartimento non tutti lo hanno ancora capito. Diamine, sei sempre un
passo avanti a tutti quelli che lavorano qui. Però cercare di coinvolgere me, è
tutto un altro paio di maniche. Io non sono come te. Sono una sorta di mezzo
fallito della scienza: volevo fare il fisico teorico e sono finito a fare il
chimico; nel frattempo sono passato attraverso tante di quelle fasi…”
“Andiamo Emil! Non dire sciocchezze!” Lo rimproverò Peter.” I tuoi studi sul vibranio sono a dir poco
eccezionali e se mai sono io che non capisco come mai tu sia così riluttante a
farli pubblicare.”
“Perché, amico mio, “ gli spiegò girandosi verso di lui,
braccia conserte e gambe accavallate,” quello
che sono riuscito a concludere è che il vibranio è un elemento transuranico
stabile. Praticamente: impossibile; il problema è che non sono riuscito a
spiegare come mai invece esiste.” Peter gli sorrise e, bonario:
“È solo questione di tempo. Ognuno ha una strada da percorrere
prima di realizzare i propri obbiettivi.”
“Ho già una certa età, per essere uno scienziato. Non credo che mi
rimanga più tanto tempo per fare la grande scoperta della mia vita e
guadagnarmi un posto nei sacri testi della scienza.”
“Che diavolo dici? Hai solo pochi anni più di me.”
“Comunque, amico mio, ti ricorderei che anche Cloud Bernard aveva
un sogno, uno scopo, un obbiettivo superiore e ricordi che fine ha fatto? Non
credo che la mia fine sarà molto diversa. Comunque, tanto per tornare al nostro
discorso principale e concludere questa ultima, deprimente parte, sull’effetto
Casimir non so dirti nulla di più di quanto non mi abbia detto tu. So che Lo
Iacono era presente durante l’esperimento che ha confermato parte delle teorie
di Casimir. Personalmente, e qui potrei deluderti, non ho mai creduto molto
alla teoria dei gravitoni. Appartengo alla scuola di pensiero delle forze
elettro deboli. Quindi, l’idea di anti-gravità, mi è un po’ difficile da
digerire.” Allargò le braccia quasi a volersi scusare
per aver dato una brutta notizia all’amico. L’altro per tutta risposta sorrise,
alzando un sopraciglio e, divertito: “ Strano. Eppure ci sono numerosi casi
documentati che provano l’esistenza dei gravitoni. Pensa solo a quel trattato
sui mutanti che riescono ad interagire con le forze elementari dell’Universo.
Ti ricordi quel ragazzo di Houston, in Texas?”
“Ricordo che un esaltato gli ha sparato a bruciapelo proprio
durante una conferenza. Uno dei pochi mutanti che, al tempo, era venuto allo
scoperto. Desiderava solo dare una mano all’umanità, ed invece di mettersi un
passamontagna con una X sulla testa, e scegliersi un assurdo nome in codice,
voleva farlo aiutando la comunità scientifica. Era laureato in chimica, lo
sapevi? I suoi poteri si sono manifestati tardivamente. Anziché
all’adolescenza, come di solito succede, verso i ventidue anni. Forse perché
era un klinefelter. Poveretto. Comunque gli studi su di lui non sono stati mai
del tutto provati. Apparentemente sembrava produrre quelle particelle bosoniche
che tu e quelli che la pensano come te, definite gravitoni. Però la parola
apparentemente è d’obbligo. Non esistono prove certe e incontrovertibili e del
resto, il Professor Pyotr Tirmenov, dimostrò che applicando i numeri di
Fibonacci e il tensore di Ricci Curbastro, si poteva spiegare le facoltà del
ragazzo, Alex Morton si chiamava se non ricordo male, come frutto di un interazione con le forze elettro deboli.”
“Ma nemmeno lui, se non sbaglio, riuscì a provare che la sua
teoria era esatta. E gli esperimenti con gli acceleratori di particelle? Cosa
ne pensi di quello condotto in Svizzera l’anno scorso?”
“Ammetto che quello potrebbe essere una prova a sostegno
dell’esistenza dei gravitoni ma, l’effetto Kafka non
si è ripetuto più dopo quell’unica volta. Se potessero
riprodurlo esattamente come allora, beh, potremmo ragionarci seriamente sopra
ma così non so proprio che dirti. Qualcuno ha affermato che si sia trattata di
una semplice anomalia dovuta all’intenso campo magnetico creatosi.”
“E degli studi di Richards?”
“Lasciamo stare Reed Richards, sai benissimo che non lo posso
soffrire.”
“Non ho mai capito perché.”
“Diciamo che la sua arroganza mi infastidisce notevolmente. È
venuto in possesso di conoscenze scientifiche che potrebbero migliorare il
tenore di vita dell’umanità a livelli fino ad ora inconcepibili e, poiché si è
auto proclamato supremo censore di cosa è giusto e cosa non lo è, ha decretato
che non siamo ancora adatti, noi comuni mortali, a venirne in possesso. E così,
tra un salto nella così detta Zona Negativa e nell’improbabile Microverso, qui
ci stiamo ancora arrabattando per rendere le centrali nucleari più sicure ed
efficienti, al fine di non avverare il pianeta e poter disporre di tecnologie
per la produzione d’energia atte a poter soddisfare i crescenti bisogni della
popolazione mondiale.”
“Sei stato chiaro, Emil.”
“Scusa lo sfogo. Comunque, tornando a noi, il problema è che come
vedi, chi potrebbe fornire la prova dell’esistenza dei gravitoni, e per prova
ne intendo una certa e inconfutabile, o si tiene per sé la tecnologia o i
propri poteri, giusto per non correre il rischio di finire ammazzato da
qualcuno. Ho letto la relazione dello scorso anno dei Fantastici Cinque e, ti
devo confessare, l’ho trovata molto interessante. Se però mi chiedi dove
vogliano arrivare con i loro studi, non so proprio che dirti. Io sto ancora
cercando di capire cosa esattamente sia l’energia di punto zero, figurati.
Comunque, se quello che mi hai detto è esatto, stanno cercando un modo di
catalizzare l’Effetto Casimir e aumentare esponenzialmente la produzione di
anti-materia che ne consegue.”
I due si fissarono per qualche secondo, rimanendo in silenzio.
Nuova Installazione del P.H.A.D.E., da
qualche parte nello Stato di New York – Lunedì ore
“Quattro cellule.” Affermò compiaciuto Leon Kavanagh facendo
sorridere divertita Dafne.
“Zucchero?” Chiese lei con gentilezza ma lui, altrettanto
gentilmente e ricambiando il sorriso, rifiutò. Dafne, quasi a volersi scusare
dell’interruzione: “Mi diceva delle quattro cellule.”
“Aria, Terra, Acqua e Fuoco. Il fulcro della riorganizzazione del
personale di sicurezza di questo progetto passa attraverso una divisione della
gestione delle nostre risorse umane e tecnologiche. Ogni cellula è una sezione
indipendente al cui capo ho posto degli ex ufficiali in pensione ed entrati nel
mondo dei mercenari già da qualche tempo. Ognuno di loro è un esperto nel suo
campo e ad ognuno è stata data ampia libertà nella gestione del proprio
personale civile e dei propri uomini.
Le sedi sono state dislocate in località diverse in modo che, non possa più accadere di venire sorprese come ha fatto Raabe,
attaccandole direttamente in casa propria. A portata di fischio come si suol dire, ma fuori portata di fionda, se capisce cosa
intendo.”
Dafne era divertita. Gli piaceva Leon. Era un buon soldato e un
uomo leale. Cacciò indietro il senso di colpa che, da qualche tempo a quella
parte, sembrava gravare sul suo cuore quando pensava
all’inganno di cui lui, e tutti gli altri, erano vittime.
“Capisco. Espressione piuttosto strana ma chiara.”
“Io le coordino tutte e quattro ma, in caso di bisogno, possono
agire senza di me, comunque in sincronia tra loro, senza intralciarsi l’un con
l’altra.”
“Un meccanismo a prova di errore.”
“Nulla lo è. Diciamo che se esiste una perfezione, questo gli si
avvicina molto.” Affermò con un certo compiaciuto
orgoglio.
“E le ricerca del nostro Raabe?”
“Sto aspettando l’ultimo rapporto dai miei uomini
ma ho una mezza idea di dove concentrare gli sforzi.”
Leon bevve un po’ del te che
Stan Johanson lavorava con Leon da diversi anni. Leon si
considerava un buon mercenario. Sicuramente tra i migliori in circolazione. Nel
suo lavoro la falsa modestia era deleteria almeno quanto l’arroganza. Stan
invece era uno dei migliori tra gli agenti segreti. Quando smise di lavorare
per
“Nessuno di loro,”disse con la sua
imperturbabile flemma Stan,” ha mai ricoperto incarichi di rilievo all’interno
dei servizi segreti prima del P.H.A.D.E. Sottolineo nessuno. Erano tutti dei
B-1, qualcuno B-2 ma niente di più. Si trattava di agenti men che mediocri,
destinati ad incarichi di tipo burocratico. Poi nel ’64, boom! Hanno cominciato
a far registrare punteggi da campione in tutti i test che facevano: quello
annuale per il rinnovo della licenza, quello per il passaggio del livello e via
dicendo; un paio di loro partecipano come operativi ad una missione di alto
profilo dopo essere stati rassegnati. Un vero successo. Passa un anno e i due
agenti in questione vengono promossi ad un nuovo
incarico, direzione di un progetto sull’orlo della chiusura: il P.H.A.D.E.; al
tempo del subentro al comando cacciarono via tutti quanti gli ufficiali del
progetto e portarono con sé tutti i loro amici, ovvero tutti quelli che
inspiegabilmente avevano mostrato un incremento delle proprie capacità.”
“Un aumento inspiegabile delle loro capacità?” Più che una
domanda era un commento, il sottolineare qualcosa, quell’indefinibile
inquietudine che aveva provato le poche, rare volte in cui aveva parlato con
qualcuno che del P.H.A.D.E. che non fosse Dafne Milles e, a ben pensare, anche
lei aveva qualcosa di indefinibile, di inesplicabile.”- Mi stai dicendo
che, un gruppo di agenti segreti burocrati si trasformano
in massa in super agenti e che nessuno fa domande?”
“Erano anni difficili.
“Hai reso l’idea.”
“Hanno radicalmente cambiato la struttura organizzativa del P.H.A.D.E. ma non l’hanno fatto in un solo giorno. È stato
un lavoro progressivo e ben ragionato. La loro struttura è divenuta un
complesso sistema di scatole cinesi in cui i dirigenti si sono comodamente
nascosti in tutti questi anni, dal 1966 ad oggi e in cui, soprattutto, hanno
tenuto al sicuro quelli che erano i loro piani. Vuoi sentirne una divertente? I
miei contatti dicono che ai piani alti, nessuno abbia un’idea precisa di cosa
faccia esattamente il P.H.A.D.E.”
“E il nostro progetto?”
“Il vostro progetto è uno dei segreti che, ti assicuro,
custodiscono meglio. Se non ne avessi saputo già l’esistenza, avrei faticato
parecchio per venirne a conoscenza. Mi ci sarebbero voluti anni di lavoro.”
Leon sorrise.
“Se ti ci sarebbero voluti anni a te…”
“Sai bene che Nick Fury è il top delle spie ma che io vengo subito
dopo.”
“Non eri tu il numero uno per la classifica di World Spy?”
“Solo per un anno. Però è stata una bella soddisfazione sapere che
al vecchio monocolo è preso un mezzo colpo quando ha
letto che al numero due c’era lui quella volta.”
“Pagherei una cifra folle pur di vedere quel fottuto di Nick
rodersi il fegato. Tornando a noi?”
“Tornando a noi, voi siete super blindati e gli uomini che
dirigono il P.H.A.D.E. non si fanno vedere in giro da parecchio, parecchio
tempo.”
“E
“
“Cinque anni a questa parte…”
“Già. Sembra strano anche a me che un’organizzazione del genere,
che ha le mani in pasta un po’ dappertutto, abbia reclutato nei suoi ranghi
così poche persone: dieci in tutto; stiamo parlando di cinquanta persone in
tutto. Pochine, decisamente, eppure riescono a compiere dei veri e propri
miracoli.”
Leon fissò il suo amico, attendendo che continuasse a parlargli, a
raccontargli cosa aveva scoperta a dar corpo alle incertezze sui suoi padroni
che per anni lo avevano accompagnato.
“Tutto bene?” Dafne sembrava un po’ preoccupata. Leon si era
fissato alla finestra. Osservava con maniacale attenzione alcuni uomini che al
molo stavano scaricando da un mini sottomarino, alcune
casse gialle.
“Tutto bene.” La tranquillizzò lui, sorridendole con garbo.
Stato di New York, da qualche parte – Martedì ore
La vita si era terribilmente complicata e questo era il grande
difetto del secolo in cui viveva. Questo era stato il primo pensiero al
risveglio.
Il cielo era ancora buio, l’aria fresca e il silenzio era rotto
solo dall’occasionale canto di qualche passero.
Eppure, anche in quella quiete paradisiaca, non riusciva a trovare
la pace a cui anelava con tanto ardore.
Scese le scale, un gradino alla volta, lentamente. La mano passava
lungo il muro di grandi pietre squadrate costruito tre secoli
addietro. L’odore di muffa ed umido gli riempì le nari e la gola, strappandogli
un colpo di tosse.
Giunse davanti gli scaffali dove aveva sistemato degli attrezzi e
aprì la porta diligentemente occultata dietro di essi.
Un bel trucco, non c’era che dire, si complimentò tra sé e sé. Nessuno se ne
sarebbe mai accorto. Nessuno avrebbe mai violato la sua intimità. Nessuno.
Eppure la sua vita si era drasticamente complicata.
Scese ancora nelle viscere del suo antro, verso la stanza che
aveva eletto come suo nuovo grembo materno, sicuro rifugio da ogni nequizia e
sozzura che stava fuori, nel mondo. Socchiuse gli occhi, per godere meglio di
quel momento in cui sentiva lo spirito rigenerarsi, liberarsi delle paure, dei
dubbi e delle ansie. Socchiuse gli occhi mentre lasciava che i pensieri
corressero liberamente dentro il suo cranio, combinandosi in nuove, complesse
forme geometriche.
Arrivò di fronte al tavolo che stava al centro della piccola sala,
il suo pensatoio, e si lasciò cadere sulla poltrona Stockwell comprata ad una
svendita, tre anni fa. Un buon affare. La damascatura era un po’ consunta ma l’imbottitura reggeva ancora bene. Comoda,
avvolgente, di classe. Cosa si poteva chiedere di più ad una poltrona? Sorrise.
Massaggiò delicatamente la fronte con i polpastrelli, movendo le dita in
piccoli, quieti cerchi. Con l’altra mano cercò la lampada sul tavolo di
palissandro e la accese, riempiendo l’ambiente di un piacevole chiarore
arancione. L’arancione gli metteva sempre allegria. Lanciò un’occhiata alle
liste che stavano ordinate sul tavolo. Erano lì, immobili e attendevano di
essere lette. “C’era ancora tanto lavoro da fare ma la
vita si era ulteriormente complicata e tutto questo,” esclamò in un
improvviso eccesso di collera,” per colpa tua!” Prese un coltello a serramanico
posato sul tavolo e lo lanciò contro la foto che aveva appeso alla parete di
fronte: Dominic Kutzchacha lo fissava con il suo largo sorriso, la barba
perennemente mal rasata, l’aria irrimediabilmente svogliata ed ottusa; senza
più possibilità di replicare o di dire qualsiasi altra cosa. Senza più alcuna
speranza. Dominic era divenuto il suo fornitore di armi ma
si era fatto imprudente e aveva attirato troppo l’attenzione su di sé ed
inoltre si era spinto troppo in oltre con le sue attività criminose. Non poteva
più tollerarlo e per questo aveva dovuto prendere provvedimenti. Il poliziotto,
Philip Mansel, era stato un danno collaterale. Coprì il suo volto con entrambe
le mani. Rivisse per un istante quell’accadimento: la sorpresa, lo stupore
negli occhi dell’altro; rivide lo sguardo del poliziotto che per primo era
corso alla finestra intuendo che fosse stata quella la sua via di fuga. Oliver
Terenzio Rucker si chiamava.
“Gesù mio, che cosa ho fatto?” Rise. Rise mentre
le lacrime scendevano lungo le gote. Rise del mondo e di sé. Si alzò e andò a
prendere la sua faccia, quella che teneva nella scatola nera sopra il comodino
vittoriano. La prese e la mise su. La carezzò lascivamente. Un immutabile,
confortevole volto di cuoio.
Andava meglio. Ora sentiva che tutto, ancora una volta sarebbe
andato bene.
“Mettiamoci al lavoro.” Sentenziò.
C’era tanto fare. Tanti posti dove andare e ancora più peccati da
mangiare.
Dette una rapida letta ai principali titoli del Bugle e poi corse
a leggere gli aggiornamenti di guerra e quelli dell’altra guerra che si stava
combattendo negli ultimi tempi a New York.
“ Nessuna notizia su di me.” Pensò Peter con un amaro sorriso
sotto la maschera. J.J. non aveva mostrato più nessun interesse per la sua
campagna denigratoria. La sua, personale, infinita guerra contro l’Uomo Ragno,
indiscusso capo, nella distorta e malata fantasia dell’editore, di tutte le
minacce mascherate di questo mondo. Troppo dolore per fomentare ancora l’odio
in una città devastata da una tragedia dopo l’altra. Troppi sensi di colpa.
“L’hai creato tu.” Pensò in un moto di rabbia
mentre con la mente riviveva quanto successo con lo Scorpione, una
cicatrice che niente e nessuno avrebbe mai potuto rimarginare. Il dubbio atroce
di essere un assassino. Il senso di colpa per quello di liberazione che
provava. La testa di quel bambino. Il suo cranio. Il sangue nel pullman dove
giaceva insieme ai suoi piccoli compagni.
“Brucia all’inferno, Gargan.” Sussurrò. Portò la mano al capo e
massaggiò come per scacciare via tutto quanto.
Frank Cortese salì le scalette di ferro che portavano sul tetto.
Era molto tempo che non incontrava il suo vecchio amico Uomo Ragno. Gli sarebbe
piaciuto che questo avvenisse in altre circostanza ma
la vita non sempre andava come si desiderava.
Aprì la porta gialla e trovò l’arrampicamuri attaccato ad una
parete che leggeva il giornale.
“Ciao palla di tela. Che c’è? Non dirmi che adesso leggi quel
cumulo di porcate che spacciano per un giornale?”
“Ciao a te, Big F. Tolti gli editoriali di baffetti da Hitler, il giornale è buono.”
“Come posso esserti d’aiuto?”
Frank, che gli si era avvicinato, gli tese la mano che l’altro
strinse con calore e gratitudine.
Frank ormai aveva superato la quarantina. Non era molto alto e
all’apparenza sembrava piuttosto tarchiato. Il ragnetto sapeva che l’aspetto
era ingannevole. Il suo fisico era ancora piuttosto allenato e, anche se
massiccio, dotato di un’agilità notevole.
Per il resto Frank era un uomo dal viso comune: capelli castani
tagliati corti, occhi verde scuro dal taglio piuttosto comune, ampi zigomi e
solo una piccola cicatrice sulla mascella squadrata che lo contraddistingueva;
“La mia faccia è stata la mia fortuna. Sai quante persone se ne
ricorderebbero se la vedessero? Poche. Sono l’uomo della strada. L’uomo che
potresti incontrare al bar o al supermarket. Uno come tanti. La mia faccia,
palla di tela, è la mia migliore assicurazione sulla mia intimità.” Il ragno ricordava ancora quel discorso che Frank gli fece
tanto tempo fa. Gli era sempre piaciuto, sin da subito e da subito gli si era
affezionato. Lo stesso si poteva dire per Frank. Sapeva che il vigilante
mascherato era un bravo ed onesto ragazzo e poi lo ammirava: aveva fegato da
vendere il ragazzo; questo pensava di lui.
“Grazie per essere venuto qui. Non sai
quanto io te ne sia grato.”
Disse Peter tornando con la mente al momento contingente.
La giornata era piuttosto tranquilla. Solo un leggero vento
sembrava rompere la quiete di un cielo altrimenti immobile. Quasi il Fato
avesse voluto concedere alla grande mela una giornata di tregua dagli orrori
dei giorni scorsi.
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Sai benissimo che quando hai
bisogno puoi benissimo rivolgerti a me. Il problema è che non so se potrò o meno esserti d’aiuto. Ormai è un bel pezzo che mi sono
ritirato dal giro e non posso più garantire per le mie fonti. Tre dei miei
vecchi informatori che ti avevo passato, sono morti. Baby face se la è data a
gambe levate dalla città, e forse ha fatto bene. La droga ha reso Mouth Shout
del tutto inaffidabile e l’alcool ha fatto lo stesso effetto a Orecchie da
cavallo. Sono pochi ormai, quelli che una volta chiamavo i miei amichevoli
collaboratori.” Gli strizzò l’occhio, con aria
malandrina e complice, strappando una risata divertita all’Uomo Ragno.” Sono anche tutti spaventati. La gente muore. È
sempre successo e succederà sempre. Ultimamente però muore molto più di
frequente, specie se da informazioni a quelli del giro. I
Jong e le altre bande, hanno fatto piazza pulita di parecchi della vecchia
guardia, i superstiti ed i giovani non vogliono seguirli nella tomba. Vedrò
comunque che posso fare.”
“Frank, quello che stai facendo è già tantissimo. Ti sono debitore
e lo sarò per sempre, e tu continui ad aiutarmi.”
“Davvero? Eppure, ragazzino, continuo a sentirmi in colpa. Un paio
di notti fa, ho aperto l’armadio blindato dove tengo le mie vecchie cose. Le ho
guardate per un po’. Mi sono detto: hey Frank, fai la cosa giusta; e poi ho
richiuso tutto.”
“Forse è questa la cosa giusta.”
“Per la mia famiglia? Si. Ho preso una decisione tempo fa. Mi
vergogno a dirlo ma da una parte sono pentito e mi
sento in colpa. Quando è successo tutto quel casino con lo Scorpione e Scorpia,
Cristo santo, e quando hanno ucciso quel povero poliziotto, mi sono sentito
terribilmente in colpa. Dovrei essere lì, nelle strade, con voi: ed invece non
ho abbastanza coraggio.”
“Sei l’uomo più coraggioso che io
conosca. Cavoli Frank! Persino Devil, che è l’uomo senza paura per antonomasia,
mi ha detto che hai più coraggio tu di dieci come lui messi insieme!”
“Ah! Il vecchio cornetto! Pessime barzellette,
ma bravissimo a dirne di balle. Salutamelo quando lo vedi. Comunque,
ecco qualcosa che può esserti d’aiuto. Una lista. Non è molto
ma ci troverai nomi, posti e qualche numero di telefono. Puoi cominciare
da lì per la tua caccia.”
Gliela passò e l’altro la prese, senza nascondere il suo
entusiasmo. Lavorare alla cieca era una specialità di Matt, non la sua. Si
dette dell’idiota per la battuta che aveva fatto con sé stesso.
“Questa lista potrebbe cambiare le cose, lo sai? Frank, sei un
eroe, con o senza costume e questo non cambierà mai.”
Il sorriso dell’uomo era carico di amarezza ma
ringraziò comunque per il sincero apprezzamento dell’amico.
“Se fossi stato un vero eroe, loro sarebbero ancora vivi.” Pensò con grande tristezza.
“Grazie a te, e torna quando vuoi.” Disse
invece.
Harlem, New York
– Martedì, ore 11.00 p.m.
“Sono pazzo.” Si disse Peter Parker mentre
solo un sottile filo grigio scuro di ragnatela sintetica gli impediva di volare
verso la strada. Ripensava alle parole di Frank sullo scegliere la famiglia e
si scoprì ad invidiare quella forza che il suo amico giudicava invece
debolezza. Sua figlia stava crescendo in un mondo che lui sapeva bene essere
divenuto pericoloso e sarebbe dovuto essere sempre al
suo fianco, per aiutarla e sostenerla quando sarebbe servito. Anche sua moglie
si trovava ad affrontare ogni giorno prove difficili e pericolose. Ripensò a
Philip ed ebbe un moto di rabbia ripensando a quanto successo
solo pochi giorni prima, mentre si trovava in Europa. Quando M.J. gli
raccontò cosa era accaduto dovette usare tutto il suo autocontrollo per non
andare in escandescenza e fingersi calmo e, soprattutto, per non correre verso
il carcere dove l’uomo era stato portato e… rabbrividì al pensiero di ciò che
avrebbe potuto fare.
Si sentiva preso in un turbinio di emozioni e in quel momento
sentiva emergere forte l’odio per Adam Stanford, 39 anni, trafficante di armi.
In fondo era lui che lo teneva lontano da casa quella
sera. Stanford era uno dei più attivi rifornitori di armi della mala di
newyorkese e questo lo poneva in due posizioni contemporaneamente: possibile
fornitore per il Mangiapeccati o potenziale vittima
del Mangia Peccati; no, si disse, era il Mangia Peccati l’oggetto del suo odio.
Stanford era un verme e alla fine di quella storia avrebbe fatto di tutto per
farlo sbattere in cella ma il Mangia Peccati ancora
una volta era quel passato che sembrava
rifiutare di morire e tornava a tormentarlo. Se quello che Asa Pabst fosse stato vero, allora Stan Carter non era stato solo
carnefice ma, in un certo senso, anche vittima. La sua mente era stata
sconvolta da un esperimento fallito per replicare il siero del super soldato
che aveva creato Capitan America. Era stato scelto per le sue qualità morali e
mentali superiori. Stan era stato una brava persona. Un cittadino onesto ed
integerrimo. Poi qualcosa dentro di lui era cambiato, un equilibrio
definitivamente sconvolto e, giorno dopo giorno, era scivolato lentamente nel
baratro della follia. Peter aveva saputo che il suo congedo dallo S.H.I.E.L.D.
era stato “pilotato”. Anche se gli esami medici e psichiatrici successivi non
avevano rivelato danni evidenti, le sue capacità sembravano essere state
compromesse e così era stato prima posto in congedo a tempo indeterminato e,
alla fine, pensionato anticipatamente. Però Stan non voleva darsi per vinto.
Non voleva accettare di essere stato silurato, né di ritirarsi quando sentiva
ancora forte dentro di sé il desiderio di fare qualcosa, di aiutare il prossimo,
di essere utile alla società. Doveva esserci della frustrazione, del dolore
dietro tutto questo. Qualcuno lo aveva incontrato.
Qualcuno aveva capito cosa covava nell’anima. Qualcuno aveva alimentato il
risentimento, spingendolo ancora di più nell’abisso, forgiando qualcosa a sua
immagine e somiglianza per farlo divenire un adepto nella sua personale
crociata per la giustizia e la verità. Si, perché questo credeva di aver
intrapreso Stan e chi aveva contribuito a trasformarlo in un mostro, doveva
essere profondamente persuaso della stessa cosa. La stessa convinzione ma
doveva essere un mostro peggiore di quello che aveva creato.
“L’esca è lì e tu hai bisogno di armi per la tua guerra santa o di
un’altra vittima da sacrificare per placare il tuo appetito.”
Peter lo sapeva che l’uomo che stava osservando era un boccone
troppo ghiotto e che la sua preda non avrebbe resistito. Era una tentazione
troppo forte e lui, come tutti i ragni, sapeva essere molto paziente.
Fine episodio.
Per contatti e
suggerimenti: spider_man2332@yahoo.com
Un saluto a
tutti quanti voi e ci vediamo prossimamente.